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NOTTOLA  DI   MINERVA

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"[...] la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta. […] La nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo"
Hegel, Lineamenti di Filosofia del diritto, Prefazione

Guerra e pace. E' possibile eliminare la guerra?

3/6/2022

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I drammatici episodi della guerra in Ucraina, scoppiata il 24 febbraio scorso, ci riportano in una dimensione fortemente critica che fa retrocedere la storia d'Europa a scenari che pensavamo aver arginato dopo il secondo conflitto mondiale. Inoltre, i processi di globalizzazione e lo sviluppo tecnologico-informatico in cui siamo oggi immersi innescano scenari nuovi, e forse ancora più allarmanti.
Rovistando nella storia, nelle analisi pregresse di chi ha cercato prima di noi di non arrendersi alla costruzione di dinamiche pacifiche e distese per il bene dell'umanità e della convivenza su questo pianeta, ripercorriamo l’analisi che hanno tentato menti più illuminate delle nostre: per esempio il carteggio del 1933 tra Sigmund Freud e Albert Einstein intitolato, proprio, “Perché la guerra?”.
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Riproponiamo liberamente alcune parti di un articolo di Teresa Simeone del 1° marzo 2022 uscito su MicroMega (link - https://www.micromega.net/perche-la-guerra/).
Nel 1932 la Società delle Nazioni invita l’Istituto Internazionale per la Cooperazione Intellettuale a un confronto aperto ai più importanti esponenti del mondo culturale del tempo: vi partecipano, tra gli altri, Johan Huizinga, Aldous Huxley, Julien Benda, Johan Bojer, Tsai Yuan Pei. Il carteggio più noto è quello, pubblicato un anno dopo, col titolo Perché la guerra?, tra Sigmund Freud e Albert Einstein.
Freud già si era espresso nel dicembre del 1914 in un'altra lettera, in cui aveva ribadito come la psicoanalisi fosse giunta alla conclusione che “gli impulsi primitivi, selvaggi e malvagi dell’umanità non sono scomparsi ma continuano ad esistere, sebbene allo stato represso, nell’inconscio degli individui”, pronti a riemergere alla prima occasione. Il nostro intelletto, continuava, è debole, gingillo e strumento delle nostre emozioni, e noi stessi siamo obbligati ad agire “intelligentemente o stupidamente”, a seconda del volere e delle resistenze esterne.
​Ed ecco 
“le crudeltà e le ingiustizie, di cui si rendono responsabili le nazioni più civili, la malafede con cui esse giudicano le proprie menzogne, le proprie iniquità e quelle dei propri nemici”, e l’impossibilità per tutti di avere un giudizio sereno e veramente libero. [...]
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Quando nel 1932 Einstein invita Freud a confrontarsi con lui, la domanda che lo scenziato gli pone è: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? 
E com’è possibile che una minoranza interessata soltanto ad arricchirsi e che vede nella guerra l’occasione per promuovere i propri interessi riesca ad asservire la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?
Naturalmente, sottolinea Einstein, essa ha alcuni strumenti forti come la stampa, la scuola e le organizzazioni religiose e, ciononostante, rimane l’interrogativo su come il popolo si lasci infiammare fino al sacrificio di sé.
Una risposta è che l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere (Thanatos) che rimane latente in condizioni di normalità e che emerge in situazioni eccezionali: a questo punto sarebbe possibile dirigere l’evoluzione psichica in modo da rendere gli uomini capaci di resistere a queste spinte?
Einstein anticipa anche la sua personale posizione, augurandosi che gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre i conflitti che sorgano tra loro. Naturalmente tale organizzazione internazionale avrebbe efficacia solo nella misura in cui avesse il potere effettivo di imporre il rispetto delle sue leggi e questo implicherebbe che ogni singolo Stato rinunciasse a una parte della sua libertà d’azione, vale a dire della sua sovranità. Il che è il problema di ogni organismo del genere, come abbiamo assistito anche noi in questi anni di sovranismo esasperato.
La risposta di Freud riprende la critica alle organizzazioni come la Società delle Nazioni che non dispongono di forza propria benché il progetto wilsoniano sia stato un tentativo coraggioso di acquisire l’autorità mediante il richiamo a principi ideali. Per quanto riguarda le spinte alla base dei comportamenti conflittuali dell’essere umano, esse sono di due sole specie: “quelle che tendono a conservare e a unire – da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Simposio di Platone) sia sessuali, estendendo intenzionalmente il concetto popolare di sessualità – e quelle che tendono a distruggere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva.” Entrambe sono presenti e indispensabili perché la vita si basa sul loro concorso e contrasto. Le pulsioni erotiche rappresentano gli sforzi verso la vita, quelle di morte la distruzione verso se stessi e verso l’esterno. Non c’è speranza di sopprimere le tendenze aggressive degli uomini: possono solo essere deviate in modo che non portino alla guerra.
Si può cercare di creare legami emotivi, di solidarietà tra gli uomini per impedirne la deflagrazione ma è difficile da ottenere.
L’unica soluzione sarebbe assoggettare queste pulsioni alla ragione, sarebbe rafforzare l’intelletto, soprattutto avere un atteggiamento più civile e considerare il giustificato timore degli effetti di una guerra futura.
Una copia di questa sezione del carteggio può essere letta qui, sul sito dell'Istituto italiano per gli studi filosofici (link - ​http://www.iisf.it/discorsi/einstein/carteggio.htm).
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Il gioco dei potenti continua e il ​16 febbraio 1955 il filosofo inglese Bertrand Russell, 83 anni, premio Nobel per la letteratura 1950, turbato, scrive una lettera ad Albert Einstein: «Penso che eminenti uomini di scienza dovrebbero fare qualcosa di spettacolare per aprire gli occhi ai governi sui disastri che possono verificarsi». Russell allude al problema nucleare, che in quegli anni – in quei mesi – sta registrando una forte accelerazione.
​fonte - Università di Padova, Bolive (link - ilbolive.unipd.it/it/news/manifesto-einsteinrussell-scongiurare-guerra).
Albert Einstein, 76 anni, premio Nobel per la fisica 1921 e, probabilmente, lo scienziato più famoso di ogni tempo, risponde in capo a cinque giorni. Non meno turbato, il tedesco invia il 16 febbraio una lettera a Bertrand Russell proponendo una «dichiarazione pubblica» che loro due e altri eminenti uomini di scienza avrebbero potuto firmare.
Cosa rende inquieti quei due anziani uomini di scienza, pacifisti conclamati?
Beh, il fatto che a partire dal 1952, infatti, le strategie nucleari degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, sono mutate radicalmente. I fattori di novità nel panorama delle armi atomiche sono ormai così innumerevoli e così profondi che il rischio di una guerra nucleare totale in grado di distruggere gran parte dell’umanità e l’intera civiltà umana diventa, per la prima volta nella storia, un rischio concreto. 
I fattori di novità riguardano la proliferazione, la crescita incontrollata e praticamente illimitata degli arsenali, il dispiego a largo raggio delle armi, l’uso dei sommergibili atomici e, soprattutto, l’irruzione sulla scena dei missili in grado di trasportare in pochi minuti testate atomiche in ogni parte del mondo.
Che esista un problema concreto di proliferazione nucleare orizzontale lo dimostra la Gran Bretagna, che, proprio nel 1952, mette a punto le sue prime armi a fissione. A partire da questo momento, l’arma atomica non appartiene solo ai paesi leader, Usa e Urss, dei due schieramenti geopolitico-militari contrapposti, l’Ovest capitalistico e l’Est comunista. Negli anni a venire molti altri paesi entreranno a far parte del club nucleare. [...]
In poche parole: la guerra nucleare totale è diventata una tragica possibilità. E sia il pacifista Bertrand Russell che il pacifista Albert Einstein in quel febbraio 1955 ne hanno lucida consapevolezza. Per questo decidono di reagire con «qualcosa di spettacolare». Ora sembrerebbe strano che ciò che di più spettacolare riescono a immaginare quei due sia una «dichiarazione pubblica». Ma hanno ancora una volta ragione: scritta e firmata da loro la «dichiarazione pubblica» diventerà tanto famosa quanto influente [...].
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Quello che diventerà noto come il Manifesto Einstein-Russell viene reso pubblico due mesi dopo, il 9 luglio 1955, dall’inglese. E diventerà immediatamente il manifesto dei pacifisti impegnati a scongiurare la guerra nucleare.
Non solo dei pacifisti, in realtà. Come dice Wittner, il manifesto ha contribuito a creare una cultura diffusa – anche tra i politici, anche tra i militari – per la quale l’arma nucleare è per l’appunto un tabù. Uno strumento che al massimo può essere brandito, ma mai utilizzato. Michail Gorbaciov, in un’intervista a Wittner, sosterrà di essere stato profondamente influenzato dalle idee pacifiste di Einstein e Russell quando, nel 1987, propose al presidente americano Ronald Reagan di abolire i loro rispettivi arsenali nucleari.
Il Manifesto ebbe conseguenze pratiche immediate. È facendo riferimento a esso che, nel 1957, nacquero le Pugwash Conferences on Science and World Affairs, il cui scopo principale era (ed è) la costruzione della pace e, in particolare, il disarmo nucleare. Le Pugwash Conferences hanno ottenuto il Premio Nobel per la Pace nel 1995. A ritirare il premio fu il fisico teorico italiano Francesco Calogero, segretario generale dell’organizzazione. Oggi la carica è detenuta da un altro fisico teorico italiano, Paolo Cotta-Ramusino. 
Il messaggio del Manifesto, tuttavia, è ancora oggi drammaticamente attuale. Il processo di disarmo atomico tra USA e l’erede dell’URSS, la Russia, si è pressoché arrestato. Mentre nel mondo esistono altre tre potenze nucleari “ufficiali” (Cina, Francia e Regno Unito) e altre quattro “non ufficiali” (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord).
Conviene dunque rileggerlo, quel manifesto, per trovare nuovi stimoli a perseguire l’idea che era del primo segretario generale del Pugwash (anche lui Nobel per la Pace nel 1995), Joseph Rotblat: un mondo finalmente libero dalle armi nucleari. 
È un obiettivo che oggi appare lontano. Ma che è irrinunciabile per donne e uomini che, come Albert Einstein, sono «rimasti sani di mente in un mondo pazzo».
Qui una copia del manifesto - pdf
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    Monica Sanfilippo


    Docente di Filosofia e Storia nei Licei 

    Counselor filosofico

    ​Musicista violista 

    ​Dottorato in storia e critica dei beni musicali

    ​Librettista

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